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Paolo e i quattro mostri
Plumari Gabriele

“ La buona educazione è segno di dignità, non di sottomissione.”
Paolo nasce in una famiglia umile quanto dignitosa eppure quelle
carezze che dovrebbero accompagnarlo nella crescita stentano ad
arrivare. È ancora molto piccolo quando si imbatte nel suo primo
mostro. Quel gioco, quell’accordo tacito condiviso con il cugino
diventa un segreto da non dover rivelare. L’incubo vissuto apre la
strada al secondo mostro: la violenza fisica. La madre non riesce a
capacitarsi del cattivo rendimento scolastico di Paolo, eppure non è
certo l’unico al mondo ad avere cattivi voti. Viene considerato un
asino, i maestri non fanno che beffeggiarlo e il rientro a casa
diventa ancor più mortificante. Quando cammina per strada viene
additato da tutti, sente di non valere nulla e da lì a poco ad
aspettarlo ci sarà un nuovo fardello da sopportare.Diventa il
candidato perfetto, il martire prescelto sulla quale riversare rabbia e
frustrazione. É vittima di bullismo sia a scuola che durante le partite
di calcio e nel tragitto da casa a scuola viene puntualmente
inseguito e pestato. Non confessa i suoi tormenti, la madre lo
condannerebbe comunque, l’appetito famelico fa spazio a un nuovo
mostro: la dipendenza dal cibo. Con il tempo inizia a covare rancore,
reagisce con ferocia, nessuna ingiustizia può essere tollerata. Quel
bambino sottomesso si evolve e si trasforma per forza di cose in
un’adolescente sregolato. Possiamo condannarlo? No, la storia di
Paolo ci conferma una crescente indisponibilità degli adulti
nell’ascoltare i bambini. D’altronde sarebbe stato più semplice
educare un bambino e renderlo felice, che provare a riparare la vita
di un adulto dal presente disincantato.

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