«Amo il gioco, e lo amo non solo perché dà il piacere del rischio, più ancora perché è una testimonianza di fiducia, fiducia in sé stessi innanzitutto, e di fiducia anche nella vita, nel Destino, perché il caso, ai miei occhi, altro non è che il Destino, e il Destino per me è il buon Dio. Sono quindi piuttosto incline a pensare che essere giocatore significa credere in Dio».
Sacha Guitry mise in scena più di centoventiquattro pièce teatrali, ma “Memorie di un baro”, apparve inizialmente a puntate dall’ottobre al novembre del 1934 su Marianne, settimanale letterario ideato da Gaston Gallimard.
Chi era Alexandre Georges Pierre Guitry? Uomo poliedrico quanto camaleontico pubblicò libri di vario genere, fu commediografo, regista, pittore, scultore e soprattutto autore e interprete di sé stesso. Il suo era un ego smisurato frutto di una carriera ricca di successi e di ostentazione proprio come ci viene raccontato da Edgardo Franzosini nella postfazione del libro.
In questa storia figlia del caso o del destino tutto ci appare esilarante. Il protagonista perde l’intera famiglia a causa di un piatto di funghi, e lui, il più giovane, si salva per un caso fortuito appunto. Aveva sottratto del denaro per accaparrarsi un semplice gioco, e a quella malefatta conseguiva una pena, insomma gli verrà negato il pasto serale.
«Si ero vivo perché avevo rubato. Di lì alla conclusione che gli altri erano morti perché erano onesti». Determinato nel proseguire per la sua strada lavora come groom in un albergo e poi come croupier, un mestiere curioso che richiede destrezza ed “esercizio indefesso”. In questo libretto esile quanto efficace troviamo tutto l’esprit parigino di Guitry, l’impertinenza e l’amoralità di un uomo che seppe valorizzare il piacere del gioco.