Non c’è luce senza ombre e non c’è pienezza psichica senza imperfezioni. La vita richiede, per la sua realizzazione, non la sua perfezione, ma la pienezza. Senza l’imperfezione non c’è né progresso né crescita.
Le parole di Carl Gustav Jung sono un invito ad abbandonare la perfezione. La nostra spinta vitale deve essere mirata alla realizzazione, alla completezza, dev’essere una guida per tenersi lontani dalle sofferenze e dalle conseguenti nevrosi. Ne La perfezione dell’imperfezione, Gabriele Plumari attraverso una storia commovente e autentica ci ricorda che la nostra felicità, il nostro benessere è il tassello primario affinché la nostra vita possa scorrere serena.
Se manca questo, se egoisticamente l’altro ci impone traguardi e standard irraggiungibili, la nostra mente quanto il nostro corpo intercettano canali per colmare quel mancato appagamento. È quello che accade a Marta. Ha solo tre anni e non ha il diritto di vivere un’infanzia spensierata. Sua madre Annalisa vorrebbe sistemarla in una teca di vetro, come un oggetto prezioso, come le statue dei santi nelle case dei nonni. Per fortuna ha una tata, la mamma “buona”, la dolce Giulia che le consente di sperimentare e sbagliare, perché solo cadendo in errore ci concediamo nuove possibilità.
Marta diventa un’adolescente insicura, tormentata, perennemente sotto esame, accusata ingiustamente, mortificata per il rendimento scolastico, per un corpo non abbastanza armonioso. A quel punto la perfezione diventa un alibi, evitiamo di fare, il nostro momento non arriverà mai. “La perfezione dell’imperfezione” di Gabriele Plumari ci rammenta quanto sia importante riconoscersi imperfetti, incoerenti e straordinariamente umani.