Il libretto arguto e brillante sullo yoga, diventa per Emmanuel Carrère, l’opportunità per mettere ordine in quella vita contaminata da una vischiosa malinconia. Si, il suo demone lo sente appiccicato addosso e appena se ne dimentica, riappare cauto, rimane in sordina fino a quando esplode lasciandolo privo di forze.Praticante dello yoga e del Tai chi ,prova a tenere a bada quel fantasma antico che lo conduce a un disinteresse completo per tutto ciò che lo circonda.Prima di raccontare del ricovero presso l’ospedale Sainte Anne, prova a fare luce su quei dieci giorni trascorsi lontano da tutti, spesi a imparare la meditazione Vipassana.
Questo libro che prenderà forma dopo un lungo percorso di espiazione, non potrà essere esaminato dall’editore di fiducia, nonché amico fraterno di Carrère. Questo fatto tutto nuovo, questo rammarico, questo lutto personale, inaugura una nuova stagione.É il tempo di immergersi nella meditazione senza farsi ammaliare da chissà quali risultati miracolosi. L’edificio che lo ospita si trova in un luogo desolato, dove la pratica indiana, impone la rinuncia a qualsiasi forma di comunicazione. Al principio entusiasta, pare adattarsi bene ai ritmi imposti, e quando inaspettatamente sta per abbandonare la causa, avviene un fatto gravissimo:l’attentato alla sede del giornale Charlie Hebdo. Le temute “vritti” tornano violentemente all’attacco, tanto da dover essere ricoverato presso l’ospedale psichiatrico.
Quelle fluttuazioni della mente derubano quella vitalità che gli consente di vivere una vita tranquilla.Dopo vari consulti e crisi maniacali gli verrà imposta la TEC ovvero l’elettroshock.La crisi depressiva sembra acqua passata quando decide di spostarsi a Leros per realizzare il reportage sul campo profughi.Nonostante venga esposto all’ascolto di storie terribilmente vere, pare abbia raggiunto una “serena rassegnazione”.I cani neri, l’ombra che lo insegue appaiono a un tratto governabili.Il suo dolore non è da meno rispetto a quello degli altri.Il suo “ ego” traboccante di “io”pare acquietarsi grazie a una visione tutta nuova. Perché se la metà è preferibile al tutto, allora vale la pena vivere bilanciando gli opposti senza mai abbandonarsi a un estremo.
Se l’alternativa a morire è certamente vivere, allora possiamo imparare a vivere nel presente i momenti belli, senza cedere allo sconforto per il futuro che sarà.