Collana PASSAGGI DI DOGANA
“Ho fatto un sogno: il quadrante del mio orologio si riempie d’acqua. Le lancette si staccano e galleggiano in quell’acqua. Nessuna ora può essere più segnata. La scomparsa come un tuffo”.
L’esistenza di Raffaele La Capria incomincia dall’acqua e si esaurisce tra i fondali cristallini di un mare troppo profondo da raccontare. Il titolo del saggio A Napoli con Raffaele La Capria fa pensare immediatamente all’autore del romanzo “Ferito a morte”, il sottotitolo “Un percorso acquatico” è un indizio, il leitmotiv del volumetto curato da Michela Monferrini.
Amare La Capria diventa cosa semplice. I paesaggi, gli aneddoti, i riferimenti bibliografici proposti dall’autrice rendono quasi impossibile scindere il fautore “della bella giornata” dalla sua città natale. La Capria e Napoli si fondono. Dall’infanzia fino al momento in cui sceglierà di trasferirsi, La Capria si sentirà come parte di un tutto, parte di un mare come Colapesce, il ragazzo metà umano, metà pesce protagonista di racconti e leggende.
Scorge il mare ovunque, e seppur è vero che “il mare non bagna Napoli”, quel mare non va demonizzato, bensì attraversato, esplorato. Allora un libro diventa un sogno, una fantasticheria, un mezzo per poter immaginare Palazzo Donn’Anna, un palazzo dalle mura porose, dall’aspetto fatiscente. Ma il mare è la dimora dei pesci e non possiamo fare altro che immaginare la stazione acquatica, la stazione dove non passano i treni, l’acquario Anton Dohrn.
“Eravamo ancora freschi di letture marine di Conrad e London, di Melville e Poe, e ogni volta che facevamo una gita più lunga del normale, allontanandoci dai luoghi consueti, il giovanile bisogno di avventura intrecciandosi con le nostre letture ci faceva sognare, e scrutavamo il mare con gli occhi socchiusi, come fossimo stati di vedetta sull’albero maestro di un veliero, con un indefinibile senso di attesa”.
Il mare sarà per La Capria memoria immaginativa, materia fondante di ogni suo processo creativo.